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10.10.2013
“LIMITE DI VELOCITA’ E PREVENZIONE DELLE IMPRUDENZE ALTRUI” – Cass. 19384/2013

PERSONAEDANNO.IT

 

Elisabetta COSTACon la sentenza n. 19384/2013, la Corte di Cassazione è intervenuta sul caso di un incidente stradale nel quale un automobilista colpiva mortalmente il conducente di un ciclomotore che, con colpa, s’immetteva sulla via prioritaria percorrendo una corsia di canalizzazione in senso vietato.
Il tribunale riconosceva il concorso di colpa nella condotta tenuta dalla vittima, tuttavia, accertava al contempo la responsabilità penale dell’automobilista fondata sul mancato rispetto del limite di velocità imposto in quel determinato tratto stradale.
Infatti, l’automobilista conduceva l’autovettura a una velocità (pari a 83 km/h, con un limite previsto di 70km/h) ritenuta inadeguata in considerazione delle condizioni di tempo e di luogo di quel tratto stradale.
La perizia effettuata dinnanzi al giudice di prime cure stabiliva che il rispetto del limite di velocità da parte dell’automobilista non avrebbe evitato la collisione tra l’automobile e il ciclomotore, tuttavia l’urto sarebbe stato meno violento e non avrebbe avuto conseguenze letali per il conducente del ciclomotore.
La corte d’appello di Venezia confermava la condanna di primo grado per il reato di cui all’art. 589, comma 2, c.p., disponendo inoltre la sospensione della patente di guida dell’imputato.
Questi proponeva ricorso in cassazione, sostenendo che quanto stabilito dall’art. 142 c.d.s. fosse finalizzato a garantire un’andatura corretta e regolare da parte degli utenti della strada e non a evitare il rischio connesso a una condotta pericolosa e improvvisa da parte di un veicolo (che, nella specie, proveniva contromano e s’immetteva bruscamente nella carreggiata).
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso motivando che “per costante insegnamento di questa Corte, le prescrizioni attinenti ai limiti di velocità, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, sono preordinate, oltre che al fine di non creare pericolo nel normale andamento della circolazione, anche al fine di consentire al conducente di prevenire e porre rimedio alle imprudenze altrui che si dovessero presentare”.
La Suprema Corte ha evidenzato il corollario secondo cui ogni conducente ha l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri automobilisti e di cercare di prepararsi a superarle senza danno per gli utenti della strada.
La Corte di legittimità, inoltre, ha sottolineato che la condotta dell’imputato non poteva essere ritenuta esente da colpa se rapportata ad alcuni elementi peculiari della fattispecie (velocità superiore al limite, orario notturno, scarsa illuminazione, manto stradale in parziale rifacimento e consistente afflusso di numerosi ciclomotori) che avrebbero richiesto da parte dell’automobilista di tenere un’andatura particolarmente accorta.
La Suprema Corte ha ritenuto che tale mancanza d’attenzione da parte del conducente dell’autovettura abbia caratterizzato necessariamente il profilo di responsabilità nell’evento incidente e, conseguentemente, nell’evento morte del conducente del ciclomotore.
La sentenza n. 19384/2013 della Corte di Cassazione non aggiunge nulla di nuovo a quanto già indicato in giurisprudenza sul tema dell’art. 142 c.d.s., tuttavia non convince del tutto, poiché risulta oltremodo punitiva verso l’automobilista.
Lo stesso ha sì commesso un’infrazione deprecabile, tuttavia la stessa appare di rilevanza modesta e lascia qualche dubbio sul fatto che il rispetto del limite, pur nell’inevitabilità della collisione, non avrebbe avuto conseguenze letali per il conducente del ciclomotore.
La Suprema Corte ritiene che la condotta tenuta dall’automobilista sia idonea a sostenere per lo stesso l’accusa di omicidio colposo, tuttavia non si sa in base a quali criteri la perizia ha stabilito che 13 km/h di velocità in meno avrebbero sicuramente evitato l’evento morte del motociclista desta non poche perplessità.
Viceversa, la Corte sembra avere un approccio forse eccessivamente leggero e garantistico nei confronti della condotta tenuta dal motociclista, il quale ha commesso un’infrazione ben più grave, percorrendo una corsia contromano e tenendo una condotta pericolosa per sé e per gli altri.
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