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03.12.2013
Su Fondi e Sgr la tegola del fisco

SOLE24ORE

 

Se c'è una cosa di cui l'industria del risparmio e del private equity, in Italia, non ha bisogno sono nuove tasse. Per la verità non solo i fondi di investimento, vista la soglia da allarme della pressione fiscale.
Già il private equity, che viene da quasi un quinquennio di crisi (tra mercato dell'M&A crollato, operazioni al lumicino, difficoltà a raccogliere capitali e uscire dagli investimenti) e le Sgr navigano in acque agitate. Ora la mazzata del fisco: un ennesimo giro di vite che rischia di compromettere in modo irreversibile una delle tre gambe (peraltro mai stata molto robusta in Italia) del mercato dei capitali (debito, equity, capitale di rischio).
La stretta fiscale su banche e assicurazioni decisa in Consiglio dei Ministri la settimana scorsa tocca anche le Sgr: quindi private equity e fondi comuni di investimento. È del 130% l'aumento previsto per l'acconto di Ires e Irap in carico ai fondi di private equity e venture capital. Per il 2014, l'aliquota salirà invece del 101,5%. Subito è scattato l'allarme dei fondi: Aifi, l'associazione del private equity in Italia, ritiene il provvedimento eccessivamente gravoso, alla fine di un anno particolarmente difficile per il comparto, come dimostra l'andamento nella raccolta di capitali.
Ma sarebbe sbagliato considerarla una tassa per ricchi. «Il 70% dei fondi comuni sono di persone che hanno patrimoni di 20mila euro» ricorda Alberto Foà, fondatore di Anima, una delle poche Sgr indipendenti e oggi in AcomeA Sgr. «Di fatto l'imposta di bollo è una patrimoniale. Nemmeno troppo mascherata, ma soprattutto permanente e ingiusta». Permanente perchè si paga ogni anno, ingiusta perché non è proporzionale: i 34 euro annuali non aumentano all'aumentare del patrimonio. «Un provvedimento – prosegue Foà - che avvantaggia le lobby delle Poste delle banche, i cui conti correnti sono esenti». Si creerà, dice, un'asimmetria: se uno ha 1000 euro, preferirà metterli in banca e non investirli in un fondo, perchè costerà meno.
Questa ulteriore penalizzazione si aggiunge a già alti oneri regolamentari e agli adempimenti amministrativi. In più una nuova direttiva europea in arrivo esporrà le Sgr alla competizione a livello internazionale, rischiando un'ulteriore fuga di capitali (non solo gli stranieri che non arrivano, ma quelli nazionali che scappano dove è più conveniente). «Non ci siamo mai sottratti al ruolo di sostegno alle piccole e medie imprese che ci viene riconosciuto a livello istituzionale. E non abbiamo intenzione di farlo ora - commenta Innocenzo Cipolletta, presidente Aifi - ma in questo modo non viene certo incentivato l'investimento in capitale di rischio, che è una delle molle per la ripresa del Paese».
C'è tempo fino a giovedì per proporre emendamenti. Di qui l'allarme dell'industria del risparmio, che è anche una delle fonti di finanziare le imprese. Rendere il mercato dei capitali sempre meno accessibile, è un lusso che l'Italia non si può permettere.(S. Fi.)
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