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23.10.2013
"SI FA INTESTARE 20 POLIZZE POSTA VITA: TRUFFA AGGRAVATA" - Cass. pen. 41599/2013

PERSONAEDANNO.IT

 

Jole VELTRI
Reato di truffa aggravata e non peculato per l'impiegato delle poste che si appropria, facendosele intestare, di 20 Polizze Posta Vita
La Corte di Cassazione, sezione VI, con sentenza 8 ottobre 2013, n. 41599 ha ritenuto, configurato il delitto di truffa aggravata e non quello di peculato, perché il "possesso o la disponibilità" dei titoli, inteso come diretta accessibilità degli stessi, è stato conseguito dall'imputata attraverso artifici e raggiri, facendosi per l'appunto intestare le polizze, i libretti di risparmio e altri titoli .
Nella fattispecie l'imputata era accusata del delitto di cui agli art. 81 cpv., 61 n. 7 e 314 c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale impiegata responsabile dell'ufficio postale di****, si appropriava, facendosele intestare, di 20 polizze Poste Vita, contratte dalle persone offese per un valore pari ad Euro 303.000,00, di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità per ragioni del proprio ufficio, appropriandosi altresi' di altre somme, di 105 cedole e di altri titoli, per un importo complessivo di 2.122.038,46 di cui aveva il possesso o comunque la disponibilità per le medesime ragioni del proprio ufficio.
A seguito dell'appello dalla stessa proposta avverso la sentenza di primo grado , la Corte d' Appello, ha ritenuto che la fattispecie del peculato, di cui all'art. 314 cod. pen., ricorre laddove il soggetto agente, che non ha per ragioni del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità dei beni, è costretto ad acquisirlo fraudolentemente. Nel caso in esame però l'imputata non disponeva direttamente del possesso del denaro o dei titoli dei clienti ed è stato costretta, per appropriarsene, a farsi rilasciare le deleghe, e a farsi firmare le ricevute. giudici della Corte d'Appello hanno di conseguenza escluso la fattispecie dell'art. 316 C.P., che parimenti richiede il possesso o la disponibilità dei beni in capo all'agente, e dell'appropriazione indebita di cui all'art. 646 cod. pen., che prescinde inoltre dagli artifici e raggiri diretti al conseguimento della titolarità dei beni.
Dopo il ricorso in Cassazione del Procuratore generale presso la Corte di Appello, gli Ermellini hanno sottolineato innanzitutto che sussistesse la qualità di pubblico ufficiale, nella posizione rivestita dall'imputata quale direttore dell'ufficio postale, in considerazione sia dei suoi poteri certificativi che della natura pubblicistica dei servizi postali, anche dopo la trasformazione dell'amministrazione postale in ente pubblico economico e della successiva adozione della forma della società per azioni .
I supremi giudici di legittimità con riferimento alla correttezza o meno della qualificazione della condotta del detto pubblico ufficiale in termini di peculato, come ritenuto dal primo giudice e richiesto dal ricorrente Procuratore generale, oppure in termini di truffa aggravata, come invece affermato dalla gravata sentenza, hanno ribadito che per differenziare la truffa dal peculato,( quando il pubblico ufficiale abbia agito con artifizi o raggiri) è necessario guardare alla formazione del possesso del bene: infatti se il possesso è stato procurato con artifizi e raggiri si avrà truffa aggravata dalla qualità del pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del soggetto attivo, mentre si avrà peculato se tali comportamenti truffaldini siano stati posti in essere con l'obiettivo di occultare il delitto senza che questi interferissero sul possesso, che invece trova causa nella ragione dell'ufficio o del servizio.
Ampia giurisprudenza di legittimità infatti sottolinea che l'elemento discretivo tra la truffa aggravata e il delitto di peculato, va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d'altra cosa mobile altrui, oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima ipotesi quando gli artifizi o raggiri vengono posti in essere al fine di impossessarsi del bene e, quindi, l'impossessamento sia una conseguenza della condotta fraudolenta; al contrario, ricorrendo la seconda ipotesi quando gli artifizi o raggiri vengono posti in essere successivamente, al solo fine di coprire l'illecito già compiuto. (cass. pen. sez. 6, 35852/2008 Rv. 241186).
In altri termini, nel peculato il possesso del bene trova origine nella ragione di ufficio e preesiste all'illecita conversione in profitto dell'agente, mentre nella truffa l'acquisto del possesso consegue all'azione del colpevole, consistente nell'induzione in errore mediante artifici o raggiri. Ne consegue che, quando gli artifici vengano posti in essere non per conseguire il possesso della res, ma per occultarne l'illecito impossessamento, ovvero per assicurarsi l'impunità, sussiste il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata.
In conclusione, ferma la regola che l'integrazione del delitto di peculato non è impedita dal fatto che il possesso o la disponibilità del denaro o dell'altrui cosa mobile siano stati acquisiti in violazione delle disposizioni organizzative dell'ufficio a cui appartiene l'agente , la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto corretto l'assunto secondo cui la disponibilità dei beni in questione (le venti polizze assicurative, da un lato, e le cedole, i libretti di risparmio ed altri titoli, dall'altro) non potendosi essi considerare nelle concrete immediate accessibilità della direttrice dell'Ufficio postale, è stata dalla stessa conseguita fraudolentemente, sfruttando e facendo leva sulla sua funzionale qualità di pubblico ufficiale che le ha consentito appunto di carpire, con frode imbroglio ed inganno, il consenso delle vittime, nei termini e con le modalità di azione tali da configurare il delitto di truffa.
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