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30.08.2013
Il giallo del supermanager svizzero dimissionario dopo un suicidio

CORRIERE DELLA SERA

 

Raffaella Polato
Il «mago dei numeri» che si suicida. La sua famiglia che accusa il big boss. Il big boss (ma big sul serio: Josef Ackermann, già onnipotente regista di Deutsche Bank) che naturalmente respinge e però si dimette. Anche se quel che gli viene addossato da una moglie e due figli distrutti dal dolore non è (pare) di aver chiesto al rispettivo marito e padre qualche magia di troppo, magari poco etica. E tuttavia dov'è il confine, se ti dicono (sembra) che la mano di chi si è ucciso l'hai armata pretendendo ancora più lavoro, mettendo ancora più pressione, stressando ancora di più obiettivi e agende già umanamente impossibili? Perché è così, raccontano nella Confederazione, è come per i disoccupati o i piccoli imprenditori italiani al tempo della crisi, come per i disperati che la vita se la tolgono perché il traguardo irraggiungibile è diventato la semplice sopravvivenza, che il supermanager della super-ricca Svizzera si è ritrovato un giorno al punto di non ritorno. Pierre Wauthier non ha retto più. L'hanno trovato morto martedì nella sua casa di Zug, paradiso dei paradisi fiscali elvetici. Il suo nome sarebbe scivolato in poche ore nell'archivio delle pagine di cronaca, tragedia privata che sulla stampa internazionale neppure avrebbe avuto un mini-titolo — né quand'è successa né a maggior ragione oggi — se non fosse per due fatti. 

Il primo si è visto subito ed è una coincidenza (casuale, ma ora dà da pensare): era la seconda volta in cinque settimane che la Svizzera, la rassicurante, tranquilla, a volte persino noiosa Svizzera, quella che ai supermanager era abituata a dare solo lusso discreto, privacy e naturalmente segreto bancario e buen retiro dalle tasse altrui, finiva sotto choc per l'impensabile. Due suicidi nella stessa high community degli affari. Due suicidi per le identiche ragioni (pare, visto che le autorità non confermano neppure quel che persino le famiglie denunciano): stress da crisi, da azionisti che a qualsiasi costo esigono sempre di più, da asticelle fissate sempre più in alto. Due suicidi, per chiudere il cerchio della suggestione mediatica (e il cinismo per una volta non c'entra), non in aziendine o banche o finanziarie qualsiasi: al vertice di giganti internazionali nonché gruppi-bandiera dell'economia elvetica. Wauthier, 53 anni, era il direttore finanziario di Zurich, colosso delle assicurazioni (guidato fino al 2012 dall'italiano Mario Greco, oggi numero uno di Generali). Carsten Schloter, che di anni ne aveva 49 e la vita se l'è tolta un mese fa, era il leader di Swisscom. Telecomunicazioni su scala europea.
Anche così, con questi link, da stampa e tv la morte di Wauthier sarebbe già stata dimenticata. Qualche servizio sulla fatica di essere manager nell'era della crisi globalizzata, qualche analisi sociologica sui rischi e i mali da cui proprio Schloter aveva messo in guardia («Non puoi stare connesso con il lavoro ventiquattr'ore su ventiquattro, non puoi cancellare la famiglia, non puoi scordarti i figli, non puoi dimenticarti della vita»). E fine. Altre notizie da raccontare.
Invece no. Il caso non è chiuso. L'«altra notizia», e grossa, c'era nascosta dentro e lo riapre. È difficile muoversi in mezzo all'ossessione (per parecchi aspetti sacrosanta) degli svizzeri per la privacy. Ma tra i tanti «pare», i molti verbi al condizionale, i non pochi misteri che circondano il suicidio (ufficialmente, per le autorità, ancora «presunto») del «mago dei numeri» di Zurich un fatto c'è. Epocale, anche, per certi aspetti. La moglie di Wauthier punta il dito contro Ackermann, pensando evidentemente a una qualche forma di istigazione al suicidio. E Ackermann il potentissimo respinge, netto. Ma non solo è di fatto lui (costretto probabilmente dalla società) a rendere pubbliche le accuse: le sottolinea dimettendosi. «La morte di Pierre mi ha profondamente scioccato. Ho ragione di credere — scrive in una nota — che la famiglia ritenga io debba prendermi la mia parte di responsabilità». Dunque, «per quanto infondata possa essere qualunque affermazione», meglio lasciare il campo, subito, sperando di «evitare qualsiasi danno alla reputazione di Zurich». Che intanto, però, è già in piena tempesta. Pericolosamente tinta di giallo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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